In materia di circolazione stradale, la norma generale che regola il risarcimento del danno successivo ad un sinistro è l’art. 2054 c.c. secondo cui “il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”. Sempre la medesima norma, inoltre, al secondo comma, riferendosi al solo caso di scontro tra veicoli, individua una presunzione di corresponsabilità tra i conducenti dei veicoli coinvolti nella produzione del danno, “fino a prova contraria”. È evidente da quanto sopra esposto, l’importanza della “prova” che, a norma dell’art. 2697 c.c., deve essere prodotta in giudizio tanto da colui il quale voglia far valere un diritto e debba pertanto dimostrare i fatti che ne costituiscono il fondamento (comma 1), quanto da chi eccepisca l’inefficacia di tali fatti, dovendo dimostrare le ragioni alla base della sua eccezione (comma 2). Parlando di prova nell’ambito dei sinistri stradali, inoltre, un caso particolare è quello in cui sia lo stesso danneggiato, senza volerlo, a fornire una prova contraria rispetto ai fatti che intenda dimostrare in giudizio. È il caso preso recentemente in considerazione dalla Corte di Cassazione, secondo la quale, in un giudizio di risarcimento del danno da sinistro stradale, le dichiarazioni del danneggiato che siano trascritte nel referto di pronto soccorso hanno efficacia probatoria assimilabile alla confessione stragiudiziale resa ad un terzo e, come tali, sono liberamente valutabili da parte del giudice di merito ex art. 2735, co. 1, c.c., nonché idonee a fondarne il convincimento (Cass. Civ. Sez. III Ord. N. 20879 del 26/07/2024). Nel caso di specie, la Corte ha confermato la decisione del giudice di merito già espressosi a sfavore del danneggiato che, dopo essersi recato presso il Pronto Soccorso immediatamente dopo il sinistro, aveva dichiarato di aver perduto il controllo della propria autovettura. Avv. Gian Piero Bottalico