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CIRCOLAZIONE STRADALE: IL DANNO PATITO “IURE PROPRIO” DAI CONGIUNTI DELLA VITTIMA DEVE ESSERE RIDOTTO PROP

2024-10-02 17:03

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CIRCOLAZIONE STRADALE: IL DANNO PATITO “IURE PROPRIO” DAI CONGIUNTI DELLA VITTIMA DEVE ESSERE RIDOTTO PROPORZIONALMENTE ALLA COLPA DI QUEST’ULTIMA

In materia di circolazione stradale, il danno da perdita parentale sofferto dai familiari della vittima, va ridimensionato in ragione del concorso di quest'ult

In materia di circolazione stradale, fra i danni risarcibili, la giurisprudenza ha individuato anche il cosiddetto “danno da perdita parentale” definibile come “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. Civ. Sez. III Ord. N. 9196/2018).


Il predetto danno trova fondamento negli artt. 2, 29 e 30 Cost. che, congiuntamente, tutelano il diritto fondamentale di ciascuno ad esplicare la propria personalità mediante lo sviluppo dei legami affettivi e familiari.


Tale diritto, se leso, è suscettibile di risarcimento a norma dell’art. 2059 c.c. disciplinante il danno non patrimoniale, valutato equitativamente in ragione di tutta una serie di elementi, tra cui: l’intensità del vincolo familiare; la situazione di convivenza; la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare; le abitudini di vita; l’età della vittima e dei singoli superstiti etc… (Cass. Civ. Ord. N. 907/2018).


Questo danno, secondo una recentissima Ordinanza della Corte Suprema di Cassazione, quando patito “iure proprio” dai familiari di colui il quale sia deceduto a seguito di un illecito mortale, deve essere ridotto in misura corrispondente alla parte di danno cagionato dalla vittima a sé stessa e cioè, più semplicemente, in ragione dell’effettivo concorso di quest’ultima nella produzione dell’evento dannoso “ma ciò non per effetto dell'applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c., bensì perché la lesione del diritto alla vita colposamente cagionata da chi la vita perde non integra un illecito della vittima nei confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell'altra, costituendo una conseguenza di una condotta non antigiuridica” (Cass. Civ. Sez. III Ord. N. 16413 del 12/06/2024).


Avv. Gian Piero Bottalico